BOTTINELLI STUDIO LEGALE
DYNAMIC LAW FIRM

BOTTINELLI STUDIO LEGALE

DYNAMIC LAW FIRM

PRESS E MEDIA

Avvocata “infedele“, dopo Varese condanna anche in Appello a Milano.

Prescritti alcuni reati. Pena leggermente ridimensionata: da 5 anni e tre mesi a 4 anni dieci mesi e 20 giorni, oltre le interdizioni di legge.

Supera anche il secondo grado il processo che vede imputata l’ex avvocata varesina già condannata a Varese con l’accusa di aver truffato i clienti. Una vicenda processale che segue la sfilza di querele e prima ancora le accuse per truffa e patrocinio infedele da parte dei clienti che l’allora professionista Maria Poggio (innocente fino a prova contraria) avrebbe assistito nel bacino di utenza del Foro di Varese.

L’imputata è assistita dall’avvocato Fabio Bottinelli. Una vera e propria particolarità, un fatto che ai tempi fu da apripista a livello nazionale risiedeva nell’accettazione da parte dei giudici varesini di concedere la costituzione di parte civile da parte dell’Ordine degli avvocati di Varese che difatti ha proseguito anche in Appello la difesa rappresentata da Fabrizio Piarulli, mentre le altre parti civili erano rappresentate dai legali Fabrizio Reggiori, Marco Bianchi, Gianluca Franchi e Simona Ronchi.

La Corte ha sostanzialmente confermato la sentenza in ogni sua parte confermando la recidiva reiterata e senza riconoscere attenuanti di sorta. Ha preso atto inoltre, il giudice milanese, del decorso prescrizionale per alcuni tra i molti reati contestati rideterminando leggermente la pena. Da 5 anni e tre mesi a 4 anni dieci mesi e 20 giorni, oltre le interdizioni di legge.

Confermate inoltre le statuizioni civili della sentenza di primo grado avvalorando la provvisionale di oltre 50.000 euro complessivi e rimettendo al giudice civile ogni determinazione dell’ammontare risarcitorio.

«Evidenzio che la costituzione di parte civile dell’Ordine degli Avvocati era avvenuta non solo per l’esercizio abusivo della professione ma per tutti i reati contestati», ha spiegato l’avvocato Piarulli. «È stata cioè riconosciuta anche in Appello la fondatezza della costituzione dell’Ordine non solo per il reato di esercizio abusivo ma anche per tutti i reati (di truffa di falso di patrocinio infedele etc) commessi in danno dei clienti, ciò a dire che la commissione di quei reati che hanno offeso persone fisiche non esercenti la professione forense è un danno anche per l’Ordine e giustifica un autonomo diritto risarcitorio. È un principio per cui si trovano pochissime applicazioni per gli ordini professionali».

 

Articolo pubblicato su VareseNews:

https://www.varesenews.it/2024/03/avvocata-infedele-dopo-varese-condanna-anche-in-appello-a-milano/1884774/

Condannato a sua insaputa e incarcerato: Gazzada, trentenne si dice innocente: «A quell’ora lavoravo, lo dice la busta paga»

La vigilia di Natale del 2022 gli è stato notificato un provvedimento di carcerazione ed è entrato in una cella dei Miogni per scontare una pena di quattro anni e mezzo di reclusione a causa di un furto in abitazione compiuto il 27 settembre 2017 a Cadorago. «Ma quel giorno, all’ora del colpo, io ero al lavoro, a Castronno. E la busta paga lo conferma», sostiene il trentenne che è stato condannato prima dal Tribunale di Como, poi dalla Corte d’appello di Milano.

Una sentenza passata in giudicato senza che lui ne sapesse nulla. Per questo il suo difensore (l’avvocato Fabio Bottinelli, nominato di fiducia dopo l’arresto) ha presentato istanza di rescissione del giudicato, il mezzo di impugnazione finalizzato ad annullare la sentenza relativa a un processo di cui il condannato è all’oscuro – istanza già respinta e che sarà prossimamente discussa in Cassazione. E ora si appresta anche a chiedere la revisione del processo, sulla base di nuovi elementi.

LA VICENDA

Protagonista della vicenda è Nikolas Marcello Renzo, che all’epoca del furto viveva a Castiglione Olona e aveva 24 anni. All’origine di questo caso giudiziario c’è indubbiamente anche il suo comportamento processuale, legato peraltro a un passato di problemi di tossicodipendenza: non ha infatti mai ritirato gli atti giudiziari che gli erano stati notificati. E quindi non sapeva di essere sotto processo per un furto commesso da due uomini, alle 10 di mattina, in una villetta del paese in provincia di Como. I padroni di casa erano assenti, c’era solo una loro parente disabile che fu alzata di peso, messa sul montascale e portata al piano terra, in modo da non disturbare il “lavoro” dei malviventi. Ma la donna riuscì a lanciare l’allarme e così sul posto accorse la figlia dei proprietari, che incrociò i due uomini – con tanto di falso tesserino dei carabinieri – che fuggivano con il bottino, una collana e due orecchini d’oro e perle. Ed è stata proprio lei a riconoscere, su un album fotografico mostratole dalle forze dell’ordine, Renzo e il suo complice (che ha patteggiato). Entrambi – recita la sentenza – «pregiudicati per reati della stessa indole». Ed è essenzialmente su questo riconoscimento – sottolinea l’avvocato – che si fonda la doppia condanna.

«Peraltro la signora sostiene che il ladro era senza occhiali, ma Renzo li porta sempre, non può farne a meno». Ma il punto decisivo, continua il legale, è l’alibi che l’imputato non ha potuto dimostrare nel dibattimento: la sua presenza sul posto di lavoro il giorno e l’ora del furto, a 37 chilometri di distanza. Alibi confermato dal cedolino e dal foglio presenze della ditta di Castronno, e che ora l’avvocato conta di far valere nelle istanze di rescissione e revisione. La prima, però, è già stata respinta dalla Corte d’appello, perché tardiva, cioè presentata oltre il termine di 30 giorni dalla data di conoscenza della sentenza definitiva. Un ritardo secondo il legale imputabile al fatto che, con le festività natalizie e di fine anno e il fascicolo “in transito” da Milano a Como, per lui non è stato possibile entrare in possesso degli atti da impugnare. Da qui il ricorso in Cassazione, al quale si abbina la richiesta di revisione, che può essere basata sull’esistenza di nuove prove. A causa della detenzione il ragazzo è stato licenziato dall’azienda in cui lavorava e il suo difensore è anche preoccupato per le sue «condizioni di salute mentale molto precarie perché non riesce a convincersi delle ragioni della sua carcerazione».

 

Articolo pubblicato su La Prealpina:

https://www.prealpina.it/pages/gazzada-schianno-condannato-a-sua-insaputa-e-incarcerato-306411.html

Retta RSA, se la pensione non basta chi paga?
Intervista su RETE 55

SEPARAZIONE E DIVORZIO CONGIUNTO IN UN UNICO ATTO?

La riforma Cartabia entrata in vigore con cadenze diverse nel corso dell’anno e che ha apportato importanti modifiche al codice di procedura civile, ha introdotto un’importante novità in tema di separazione e divorzio.

Per la prima volta in Italia è prevista la possibilità di presentare in caso di separazione giudiziale, avviata quindi per mancato accordo tra i coniugi, non solo la domanda propria di separazione, ma anche quella contestuale di cessazione degli effetti civili del matrimonio, cioè di divorzio.

E se i coniugi invece hanno raggiunto un’intesa, possono presentare possono presentare domanda di separazione e di divorzio consensuale e congiunte?

Alel prime incertezze interpretative, la Corte di Cassazione con una recente senteza del mese di ottobre (Cass. 16.10.2023 n.28727) ha stabilito che anche in caso di separazione consensuale è possibile presentare, in accordo con l’altro coniuge, il ricorso per quello che sarà il successivo divorzio.

In un unico processo quindi far confluire le domande di separazione e di divorzio, siano esse consensuali o giudiziali, prevedendo tutte le condizioni, presenti e future.

E se dopo la separazione mutano le condizioni di fatto?

Per saperne di più visita il sito Bottinelli Studio Legale.it o contattaci al 3392537677.

LA COOPERATIVA SOCIALE PUO' ESSERE DICHIARATA FALLITA?

Le società cooperative sono soggette, anzitutto, alla disciplina specifica di cui al d.lgs. 112/2017, e «solo in quanto compatibile a quella speciale dettata dalle leggi che riguardano il settore di operatività, nonché a quella generale prevista dagli artt. 2511 cod. civ.».

L’art.1 co. Del d.lgs citato statuisce che <<alle cooperative sociali ed ai loro consorzi, le disposizioni del presente decreto si applicano nel rispetto della normativa specifica delle cooperative ed in quanto compatibili>> ciò che implica conseguentemente l’adozione delle norme promozionali ed agevolative ove più favorevoli di quelle societarie.

Secondo la recentissima decisione della S.C. di Cassazione, rilasciata in data 28 novembre (Cass. Civ , I, 28 novembre 2023, n. 32992) l’art.14 del d.lgs citato che assoggetta le imprese sociali alla sola liquidazione coatta e non alla procedura fallimentare, costituisce una norma più favorevole in quanto tale applicabile.

La Corte conclude quindi affermando che le cooperative sociali, in quanto imprese sociali, sono assoggettabili, in caso di insolvenza, esclusivamente alla procedura di liquidazione coatta amministrativa e non possono essere assoggettate alla procedura di fallimento.

La sentenza opera peraltro un excursus storico per dar conto del quadro dottrinale e giurisprudenziale in contrasto e conclude nei termini sopra indicati, smentendo la decisione della stessa sezione di due anni orsono (Cass. Civ.,I, 20 ottobre 2021, n.29245).

Appare dunque probabile un prossimo deferimento alle Sezioni Unite per dirimere il contrasto di giudicati.

Avv. Fabio Bottinelli

Per saperne di più visita il sito Bottinelli Studio Legale.it o contattaci al 3392537677.

Articolo sulla PREALPINA

Assume sostanze stupefacenti e poi allatta il proprio bambino: condannata per maltrattamenti aggravati.

I giudici della Cassazione ( Così Cass. pen., sez. VI, ud. 20 settembre 2023 (dep. 25 ottobre 2023), n. 43307) hanno ritenuto che anche un fatto episodico di assunzione di sostanze stupefacenti (nel caso di specie cocaina e mariujana) cui è seguito l’allattamento del bambino di poche settimane di vita, determinando la trasmissione al neonato delle sostanze psicotrope, integra gli estremi del reato di maltrattamento aggravato.
La sentenza si segnala non solo per la decisione in se’ ineccepibile, ma per il fatto che in motivazione essa sottolinea la circostanza che entrambe le sostanze illecite venissero regolarmente fumate dalla madre nell’ambiente domestico condiviso con il bambino, lasciando quindi intendere la possibilità che la condanna possa essere pronunciata non solo quando non vi sia un danneggiamento diretto del minore, come appunto tramite allattamento, ma anche quando il genitore non assume precauzioni atte a garantire la tutela della salute del bambino.
Se il genitore si fuma una canna in casa in presenza di minori secondo voi è responsabile di maltrattamenti? E se fuma sigarette, pipa o sigari?